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dal passato al presente

Storia del colera

Il colera Indiano (1)

a cura di: Dott. Antonio Semprini (pediatra)

La parola greca “kolera”, già usata da Ippocrate, non si riferisce al colera epidemico di provenienza asiatica che imperversò per tutto XIX secolo e parte del XX con tremende pandemie, ma ad una sindrome gastrointestinale acuta non specifica (Grmek) e fu utilizzata in questo senso da numerosi autori medici greci e bizantini(2).
Anche le cosiddette epidemie di colera segnalate in Europa(3) dal XVI al XVIII secolo non avevano niente a che vedere con il colera epidemico che è di origine asiatica.
Quest’ultima malattia, che è quella cui mi riferisco in questa trattazione, fu descritta per la prima volta nel 1782 da Sonnerat che l’aveva osservata in India.
E’ interessante constatare che il colera indiano comparve in Europa quando la peste scomparve. Occorse quasi un secolo prima che si comprendesse l’origine geografica e la causa specifica del colera, ma le vie di propagazione del morbo e i suoi veicoli vennero scoperti molto prima del suo agente specifico.

John Snow(4)
Negli anni 1849 e 1854 Snow notò la forte mortalità per colera di una circoscritta zona della città di Londra. Egli poté notare che tutte le persone che erano state colpite dalla malattia si erano servite dell’acqua della medesima fontana di Broad Street. Quando fu sospesa l’erogazione dell’acqua da quella fontana il focolaio epidemico si esaurì. Era evidente che il veicolo dell’infezione era l’acqua di quella fontana e che quell’acquedotto era inquinato.
John Snow era convinto che le sostanze in decomposizione, anche in piccole quantità, ingerite con acque contaminate, fossero capaci di provocare nell’organismo umano delle modificazioni “per contatto”. Perciò intuì che la purificazione dell’acqua sarebbe stato il rimedio principe nella lotta contro il colera.
Altri studi e ricerche dimostrarono la capacità del colera di diffondersi attraverso le grandi vie di comunicazione, come le vie carovaniere, le strade ferrate, le vie marittime.
Inoltre si osservò che la morbilità e la mortalità di quella malattia erano legate anche a cause sociali, come la povertà e il sovraffollamento, con la conseguente impraticabilità delle norme igieniche più elementari, e all’età infantile o anziana.
La consapevolezza di quanto detto sopra indusse le nazioni europee, prima fra queste l’Inghilterra, ma anche l’Italia, ad organizzare, attraverso opportune leggi, la profilassi di Stato. In Inghilterra William Farr, Edward Frankland e Netten Radcliffe, che erano sostenitori della dottrina contagionista, furono i primi sostenitori dell’idea che il colera potesse essere eliminato attraverso il controllo delle acque, in tenace opposizione alle teorie miasmatiche che sostenevano essere la malattia dovuta a un qualcosa che era nell’aria.
L’adozione di queste misure di controllo servì infatti a dominare la malattia in Inghilterra, mentre ciò non avvenne laddove queste misure non furono adottate.
Gli osservatori inglesi notarono anche una certa stagionalità della malattia, che era più frequente e accesa nei mesi di agosto e settembre. Infatti il vibrione colerico si virulenta al calore e all’umidità.

(1)Altresì detto: epidemico o asiatico.
(2)Si trattava del Cholera nostras.
(3)Colpì Inghilterra, Francia e Austria.
(4)Più in particolare J. Snow effettuò un’analisi dettagliata dei casi anomali difficili da inquadrare pensando alla pompa di Broad Street. Infatti, durante l’epidemia morì di colera una donna che abitava in un altro quartiere, ma Snow riuscì con le sue personali indagini a scoprire che quella donna si era fatta portare a casa una damigiana di acqua proveniente dalla fontana di Broad Street. L’epidemia invece non colpì gli operai di una fabbrica di birra situata vicino a quella fontana. Ciò ebbe la sua spiegazione nel fatto che quella fabbrica si approvvigionava di acqua presso un’altra fontana. Infine si giunse ad individuare la fonte di contaminazione rappresentata dal cesso di una casa vicina alla fontana incriminata, che veniva inquinata dalla tubatura di scarico del cesso che si era rotta.

Le pandemie di colera

Il focolaio del colera è la valle del Gange, il fiume sacro degli Indù, dove la malattia è endemica nella città di Jessora, nel Bengala, 180 km a nord-est di Calcutta(5).

Così B. M .Assael descrive l’umanità che si accalca sulle rive del Gange “/:::/ E’ questa l’umanità che si riversa in pellegrinaggi mistici sulle acque del Gange a Benares. Aggruppamenti di uomini e donne, completamente nudi e in pose ieratiche che si immergono nelle acque bevendole a sorsi col cavo della mano. E così assorbendo il germe del colera portatovi dalle migliaia di pellegrini qui giunti dalle zone endemiche di Calcutta. Spettacolo simile negli altri luoghi santi di Hardwar e di Puri dove, in corrispondenza di immense adunate di fedeli, scoppiavano terribili epidemie. Ma le autorità inglesi lasciavano perdere, temendo i disordini che avrebbero potuto seguire alle misure restrittive delle pratiche religiose/…/”.

La prima grande pandemia di colera scoppiò nel 1817 proprio a Jessora e lungo il fiume Hugli raggiunse Calcutta. Di qui invase tutta l’India raggiungendo anche il Tibet. Dall’India, nel 1821 passò nell’isola di Ceylon e a Bombay, dove contagiò le truppe inglesi che erano stanziate lì.
Da Bombay, veicolata dalle truppe inglesi che si erano spostate per una spedizione, passò al Golfo Persico, poi a Bassora e di lì in Persia, ad Isfahan nel 1822, a Bagdad e, attraverso le vie carovaniere a Teheran nel 1823, di qui, attraverso il Mar Caspio ad Astrakan alle foci del Volga, dove si estinse nel 1823.

Ma questa era solo l’anticipo della seconda grande pandemia che raggiunse il cuore dell’Europa nel 1828. Scoppiata nel Bengala si propagò fino al Caucaso, di lì alla Polonia, Romania, Austria, Belgio, Francia(6), Inghilterra(7), Finlandia. Dalla Francia, attraverso Nizza, passò in Italia colpendo per prime Genova e Torino. Il morbo, attraverso i bastimenti Europei oltrepassò l’Atlantico colpendo per prima la città di Québec diffondendosi nel resto del Continente(8). Si esaurì nel 1838(9).

La terza pandemia si sviluppò nell’arco di tempo che va dal 1841 al 1856, comparendo in Italia nel 1849, infierendo soprattutto nelle province del Nord-Est, importato dalle truppe austriache. Colpì in particolar modo le città di Brescia(10), Verona, Treviso, Venezia, Trieste. Le truppe francesi invece lo importarono a Gallipoli durante la guerra di Crimea, contagiando tutte le truppe alleate, con perdite enormi(11).

(5)“/:::/ umanità di forsennati che si muove e passa esagitata, pervasa da furore mistico, che si rimescola a guisa di un formicaio disturbato, spargendo e offrendo fiori agli innumerevoli idoli/…/” (Sanarelli)
(6)Provocò 100.000 morti
(7)Provocò 500.000 morti
(8)La mortalità della seconda pandemia di colera: Francia: 103.000 morti di cui 20.000 solo a Parigi; a Roma il 63 per mille della popolazione; a Napoli 13.800 decessi su 336.400 abitanti; a Palermo 24.014 decessi su 173.000 abitanti
(9)Questa epidemia colpì Brescia nel 1836. Ebbe inizio il 16 aprile in una lavandaia sessantenne di nome Maria Mazza presso Porta S. Alessandro. La donna morì in 10 ore fra atroci sofferenze. Il 14 maggio passò all’Ospedale femminile, poi all’Ospizio dei vecchi detto della Mercanzia nel mese di giugno, invase i quartieri più poveri della città fino a colpire l’Ospedale maschile. Il 12 giugno la malasorte infierì sulla città con un terremoto e il 18 dello stesso mese con un uragano, provocando una recrudescenza del morbo. Ciò avvalorò la tesi di quanti affermavano che le epidemie erano favorite dalla costituzione atmosferica delle stagioni (dott. Willelmo Menis). L’ultima vittima si ebbe nel mese di ottobre a Manerbio, quando già la malattia era andata scemando di intensità già dal mese di luglio. Questa ultima vittima era un certo Giuseppe Viviani. Questa epidemia provocò la morte del 5% della popolazione, tanti quanti ne morivano in 18 mesi. Degli ammalati, che costituirono il 9% della popolazione, ne morirono il 56%.
(10)L’epidemia colerica in Brescia venne descritta egregiamente dai dott.ri F. Benedini, P. Gorno e L. Fornasini.
Il primo già sosteneva la contagiosità del morbo :”/…/giovi l’aver veduto in questi primi casi confermata la trasmissibilità del morbo da persona a persona, fatto che osservato in più o meno costanti proporzioni ad ogni irruzione colerosa in qualsiasi luogo, torna di validissimo sostegno al concetto, già fortemente sorretto da sodi argomenti scientifici della contagiosità del colera.”
Gorno riafferma la contagiosità del male e riconosce nei “grandi adunamenti di popolo”, come chiese, processioni, mercati e nelle pubbliche fontane (dove le lavandaie lavavano la biancheria dei colerosi diffondendo ancor più l’infezione anche ai panni dei sani), le principali cause del diffondersi del male.
Nel 1855 il Medico di Delegazione dott. Balardini fece pubblicare un avviso che richiamava all’osservanza delle norme igieniche, peraltro poco rispettato anche perché scarsamente divulgato.
(11)Le perdite fra le truppe alleate: francesi=12475; inglesi=4531; piemontesi=1230.


Il 1848 fu l’anno delle rivoluzioni in Europa ed il colera, nelle nazioni europee in via di rapida industrializzazione, con imponenti fenomeni di inurbamento dalle campagne e conseguenti problematiche sociali, fece da catalizzatore delle riforme sociali, perché mise in luce le gravi carenze igienico-sanitarie dei paesi interessati dall’epidemia.

La quarta pandemia iniziò nel 1864 a Singapore, di qui passò a Sumatra, indi nell’Afghanistan e alla Persia giungendo in Arabia dove contagiò una carovana di pellegrini che andavano alla Mecca, uccidendone 30.000 su 90.000, poi raggiunse Suez, dove si concentravano i pellegrini reduci dai luoghi santi dilagando in Egitto per passare successivamente a Costantinopoli ove causò la morte di 30.000 persone. In Italia la quarta pandemia giunse nel luglio 1865 attraverso il porto di Ancona dove si ebbero 533 morti, per giungere a Milano provocando 4889 decessi. Si esaurì nel 1874(12)..

La quinta pandemia si sviluppò dal 1884 al 1886. Raggiunse la Francia provenendo dal Tonchino, avendo come veicolo la nave da guerra La Sarthe approdata nel porto di Tolone. Di qui il morbo dilagò in tutta la Francia. Gli emigrati italiani che se ne tornarono in patria presi dal panico, nel tentativo di evitare il contagio, portarono invece il morbo nella penisola, dove colpì soprattutto Genova, La Spezia, Brescia, Massa, Venezia e Napoli, che ne fu particolarmente devastata. Da ultimo, attraverso le correnti migratorie l’epidemia si propagò fino al Continente sudamericano in Argentina. Nello stesso periodo, mandatovi dal Governo tedesco, Roberto Koch isolava in Egitto il vibrione colerico.

La sesta pandemia che si sviluppò dal 1892 al 1893, giungendo in Europa dalla Russia passando da Amburgo, raggiunse l’Italia nel 1893 causando un numero limitato di vittime (30-40). Intanto si andavano intensificando gli studi batteriologici ed epidemiologici sul colera e fu reso possibile identificare i portatori sani di vibrione colerigeno.

La settima pandemia, sviluppatasi dal 1902 al 1926, fu da collegarsi ai pellegrinaggi mussulmani alla Mecca e raggiunse la Russia attraverso il Mar Caspio. In Italia la portarono nel 1909 alcuni zingari russi che erano sbarcati a Brindisi. Lo scoppio della I guerra mondiale portò ad un riacutizzarsi dei focolai epidemici tra le truppe belligeranti, specie austriache, serbe e russe. Queste ultime diffusero l’epidemia in patria durante la rivoluzione bolscevica. I militari italiani, per conto loro, ebbero sull’Isonzo seimila morti per colera. La vaccinazione anticolerica praticata tempestivamente alle nostre truppe, impedì il dilagare dell’epidemia in tutto il territorio nazionale.
Nel corso del XX secolo le epidemie di colera restarono circoscritte all’Estremo e al Medio Oriente.
Dal 1921 al 1924 provocarono in India circa 800.000 morti. Nel 1947 si ebbe un’epidemia in Egitto(13). L’ultima pandemia colerica si è verificata attorno al 1990-1991 colpendo Sud-Est asiatico, Africa, Perù.
Lo studio delle vie seguite dall’infezione fece concludere che questa era da collegarsi ai grandi pellegrinaggi asiatici verso i luoghi santi indù e mussulmani, dove le grandi concentrazioni umane sulle rive del Gange per gli indù e alla Mecca e Suez per i mussulmani, in condizioni igieniche disastrose, consentivano l’esplosione della malattia e la sua propagazione.

(12)Questa epidemia raggiunse Brescia nel 1873. In questa occasione il dott. Fornasini intuiva il concetto di “immunità” affermando:” /…/ è un fatto conosciuto da tutti che essa (la malattia colerosa /n.d.R./) generalmente parlando si spegne, né più si riproduce in chi abbia subito una volta la malattia /…/”.
(13)Secondo Ackerknecht (1965), le pandemie che raggiunsero l’Europa nel XIX secolo furono quattro: 1826-1937; 1840-1862; 1863-1875; 1883-1894.
Secondo A. Dodin (1983) nel XIX secolo si ebbero cinque pandemie di colera: 1817-1826; 1829-1833; 1841-1859;1885-1886 e nel 1887, cui andrebbero aggiunte altre due pandemie nel XX secolo.


Dai Cenni storici intorno al Cholera Morbus che afflisse Brescia nel giugno, luglio e agosto 1836 del dott. Benedetto Manzini, medico Municipale. Ateneo di Brescia, 1837.
Descrizione della malattia.
“/…/ Gravezza di capo, dolore alla fronte, inappetenza, languore di membra, semplice diarrea per uno o due giorni, dappoi, e il più spesso di notte, borbogliamenti e talvolta dolori al basso ventre, quindi un’improvvisa profusione di materie acquose bianchiccie, talvolta miste e biliose, per diarrea, accompagnata poscia da premiti e qualche volta rompente senza che l’ammalato se n’accorgesse, fecce di natura sierosa, senza odore, con fiocchi bianchicci, poi vomito impetuoso delle medesime materie e talvolta del cibo ingoiato da poco, erano d’ordinario i primi sintomi del morbo. A questi non tardavano a succedere i crampi alle estremità inferiori e specialmente ai polpacci ed ai popliti con spasimo intolerabile e un freddo marmoreo delle parti estreme, del quale però l’ammalato non s’accorgeva, e invece lagnavasi d’un grande ardore e bruciore alla regione precordiale; tenuissimi i polsi od anche mancanti del tutto alle giunture delle mani, ma sensibili alle carotidi e presso al cuore, e all’incidersi della vena il sangue o che non usciva od a stento, denso, viscido, di color di pece, e che non faceva separazione; fredda la faccia, fredda la lingua, il naso, l’alito; freddo, profuso, viscoso, di odor di lievito il sudore; plumbeo, terreo, cadaverico e spesse volte ceruleo il colore del volto, il naso affilato, le ossa zigomatiche prominenti, l’occhio intorniato d’un livido cerchio, infossato nell’orbita, cristallino, la cornea appannata, la pupilla dilatata e poco sensibile alla luce, l’aspetto orrendo, le mani, le dita, le ugne illividite, e queste incurvate nel mezzo, la pelle rugosa, la voce rauca, stentata, sepolcrale, fortissimo senso di dolore all’epigastrio, e l’oppressione che si estendea circolarmente, ansietà somma di petto, soppressione di urine, né perciò senso d’incomodo, sete inestinguibile di fredde bevande, malgrado l’umidità della bocca e della lingua, tintinnio d’orecchi e spesso sordità, un tragettarsi del petto, un fastidio, un rimuovere delle coperte, le funzioni intellettuali illese, e talvolta intorbidite, conoscimento del pericolo, lamenti, e in alcuni ammalati piccola tosse. Se avveniva che questi sintomi durassero, come talvolta duravano, da 15 a 20 ore senza che succedesse cambiamento, l’ammalato moriva; ma se la natura o l’arte riuscivano a destare il calor febbrile, che dicesi stato di reazione, succedeva ordinariamente la guarigione, massime se compariva un caldo e abbondante sudore, nel qual caso il guarire era rapido e pronto, il che però di rado avveniva./…/”.

Di fronte al dilagare delle frequenti e devastanti pandemie coleriche i paesi più sviluppati impiegarono un quarantennio prima di accordarsi su norme internazionali efficaci. Infatti, dopo la prima Conferenza internazionale di Parigi del 1851, che portò ad un nulla di fatto, si dovette attendere il 1892, quando la VII Conferenza internazionale che si tenne a Venezia riuscì a far approvare una convenzione sanitaria tra gli Stati partecipanti sul controllo del traffico marittimo attraverso il Canale di Suez(14), con l’opposizione, però, della Gran Bretagna e dell’India Britannica, per evidenti interessi di traffico commerciale.
Nel 1903, durante la XI Conferenza di Parigi, fu istituito l’Ufficio Internazionale di Igiene, che iniziò a funzionare efficacemente solo dal 1908. Esso fu sostenuto dai seguenti Paesi: Belgio, Brasile, Egitto, Francia, Gran Bretagna, Italia, Russia, Spagna, Svizzera, USA.
Da queste conferenze internazionali scaturirà nel 1948 l’OMS.
Questo Ufficio iniziò a raccogliere e diffondere notizie di interesse sanitario generale specie per colera, peste, febbre gialla, adottando le opportune misure, come la profilassi delle malattie infettive, la provvista di acqua potabile, l’igiene alimentare lavorativa e abitativa, tutte condizioni indispensabili nel loro insieme per un’efficace lotta contro le malattie infettive ed epidemiche.
Infatti l’Europa e il Nord America riuscirono ad ottenere il controllo del colera già alla fine del XIX secolo prima ancora che il vaccino fosse disponibile, attraverso l’applicazione delle norme di cui sopra. A livello geografico (Parigi1894) furono istituite due stazioni sanitarie internazionali in relazione ai pellegrinaggi della Mecca, quella di El Tor (Suez) per i pellegrinaggi provenienti dall’Egitto e dall’area mediterranea e quella di Camaran per quelli provenienti dal sud.
L’Italia, in base alle Convenzioni sanitarie internazionali vigenti, con successivi decreti e ordinanze (1907, 1911, 1930) prese provvedimenti riguardanti il controllo marittimo del colera.

(14)Il canale di Suez fu inaugurato il 17 novembre 1869, dopo 10 anni di lavori

Roberto Koch (1843-1910)
Nel 1883 R. Koch, durante l’epidemia colerica, fu mandato in Egitto dal governo tedesco con una missione scientifica.
Egli ebbe modo di rilevare nell’intestino e nelle deiezioni dei colerosi la costante presenza di bacilli ricurvi, isolabili e coltivabili in gelatina e a riprodurre sperimentalmente la malattia nell’animale da laboratorio.
La stessa esperienza egli fece l’anno successivo a Calcutta dove trovò il vibrione anche nell’acqua di uno stagno vicino al focolaio del colera.
Egli comunicò il 26 luglio 1884 i risultati delle sue ricerche alla Società Medica di Berlino(15).
Koch ebbe tuttavia fieri oppositori come Max von Pettenkofer(16) (1818-1901) che arrivò a sottoporsi all’esperimento di bere un estratto di feci colerose senza peraltro trarne grave danno, salvo qualche scarica diarroica con enorme proliferazione di vibrioni nelle feci.
Pettenkofer riconosceva nel vibrione scoperto da Koch l’agente specifico della malattia, ma sosteneva che esso non potesse virulentarsi, dando luogo alla malattia epidemica, senza la recettività individuale e le favorevoli condizioni locali ed ambientali. Ma restava il fatto inoppugnabile che Koch era riuscito a riprodurre la malattia in laboratorio inoculando la coltura pura nell’animale da esperimento, fuori da ogni condizionamento ambientale.
Tuttavia le idee profondamente igieniste di Pettenkofer portarono a notevoli progressi nel campo dell’igiene ambientale, progressi che cominciarono a dare i loro primi risultati positivi, per quel che riguarda la diffusione dell’epidemia colerica e non solo, ancor prima che venisse adottata la pratica vaccinale, nei paesi che seppero adottare quelle misure.
Già in Gran Bretagna fin dal 1834 Edwin Chadwich, di professione avvocato, prima e successivamente John Simon, chirurgo patologo, che subentrò a Chadwich nel 1848 nella segreteria del New Poor Law Board, si adoperarono al fine di migliorare le condizioni sanitarie del Paese. Simon ispirò lo sviluppo di un servizio sanitario pubblico che divenne il più avanzato al mondo in quell’epoca. (anni ’70 del XIX secolo), che prevedeva, tra l’altro, l’obbligatorietà delle vaccinazioni (quelle disponibili fino a quel momento).
Tuttavia non fu Koch a scoprire il vaccino anticolerico.

(15)Filippo Pacini, anatomico a Firenze, già nel 1854 aveva visto e descritto la presenza di microbi a forma di S, molto mobili, nelle feci dei colerosi, ma i tempi non erano ancora maturi per andare oltre.
(16)Max von Pettenkofer, fondatore dell’Istituto di Igiene di Monaco di Baviera nel 1866, fu un insigne igienista. Fu sostenitore delle misure quarantenarie contro chi proveniva dall’Oriente dove infierivano peste e colera.
(17)Nel 1871, in Gran Bretagna, fu istituito il Victorian National Health Service, che prevedeva l’individuazione di fonti di vaccino sicuro, la nomina di pubblici vaccinatori, la costituzione di una burocrazia che controllasse il servizio e il reperimento delle risorse per il suo finanziamento.

Il primo a pensare ad un vaccino anticolerico per l’uomo fu lo spagnolo Jaime Ferran, direttore dell’istituto microbiologico di Barcellona, che pensò di fare tesoro dell’esperienza fatta nel corso dell’epidemia che colpì la Spagna nel 1885. Egli pensò di “colerizzare“ l’uomo come si era fatto con la variolizzazione nei confronti del vaiolo. L’iniezione sottocutanea di coltura di vibrioni vivi poteva, secondo lui, indurre una protezione nei confronti dell’azione patogena dei vibrioni intestinali. Egli vaccinò in questo modo 50.000 persone ottenendo il risultato di reazioni violente nel punto di inoculo e anche veri e propri casi di colera, suscitando la perplessità generale.
Waldemar Mordechai Haffkine sviluppò poco dopo un altro vaccino nei laboratori dell’Istituto Pasteur di Parigi. Egli dimostrò che i germi coltivati a 37° sotto aerazione continua, iniettati sottocute, non provocavano alcun danno, ma nello stesso tempo rendevano resistente l’animale ad una dose letale iniettata nel cavo peritoneale.
Haffkine, dopo aver provato con successo su sé stesso, i suoi collaboratori e su E. H. Hankin, batteriologo delle province nord-occidentali dell’India, che dal 1893 al 1896 vaccinò in quel territorio 40.000 persone, ottenne il riconoscimento internazionale del suo vaccino.
Successivamente Gamalera e Kolle, supportati dalle ulteriori ricerche di Wright e Pfeiffer, dimostrarono l’efficacia dei vaccini preparati con batteri uccisi, che davano uguale immunità senza dare gli spesso gravi effetti collaterali.
Questo ultimo vaccino con batteri uccisi soppiantò il precedente preparato da Haffkine.
Ci si avvide però che la vaccinazione anticolerica dava una protezione molto breve, calcolabile in sei mesi, utile per stroncare le epidemie devastanti come quelle che colpivano le truppe belligeranti della I Guerra Mondiale o, comunque, per stroncare focolai epidemici, e ci si rese conto che il colera non poteva essere estirpato senza l’osservanza delle norme igieniche fondamentali personali oltre che ambientali e sociali, come si è già detto.
Accanto al Vibrio Cholerae descritto da Koch è emersa la patogenicità di altri due vibrioni, un tempo ritenuti poco patogeni per l’uomo: il Vibrio Cholerae El Tor e il Vibrio Cholerae 0139, manifestandosi la capacità del vibrione di evolversi creando difficoltà nel suo controllo.
Queste ultime considerazioni, insieme alla realtà dei portatori sani, alla scarsa durata della protezione vaccinale, alla inadeguata capacità protettiva del vaccino, hanno fatto concludere che la vaccinazione anticolerica non riduce l’incidenza di infezioni asintomatiche e non previene la diffusione dell’infezione.
Per questi motivi la 28° Assemblea mondiale di Sanità (1973) ha rimosso dai regolamenti internazionali sulla Sanità l’obbligatorietà di un certificato di vaccinazione contro il colera.

L’attuale vaccino anticolerico
L’attuale vaccino anticolerico (DUKORAL), è un vaccino orale che contiene, inattivati, i ceppi Inaba (compreso il biotipo El-Tor) e Ogawa di Vibrio Cholerae, sierotipo 01, insieme alla subunità B ricombinante della tossina colerica, prodotta in ceppi Inaba, sierotipo 01.
La vaccinazione non garantisce una copertura completa e tutti i viaggiatori verso i paesi a rischio devono essere informati sulla necessità di prestare molta attenzione al cibo, all’acqua e all’igiene personale.

 

BIBLIOGRAFIA (in ordine cronologico)

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Bibliografia del colera a Brescia (in ordine cronologico)

Dai “Commentari dell’Ateneo di Brescia”

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-Uberti, Giacomo, Cenni sul Cholera morbus, che disertò le sale delle pazze nello spedale femminile di Brescia, e della casa di soccorso e lazzaretto ivi attivato. 1837. (CAB 1837: 3/Ms)
-Manzini, Benedetto, Cenni storici intorno al Cholera morbus, che afflisse Brescia nel giugno, luglio e agosto 1836. 1837. (CAB 1837:11)
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-Pelizzari, Giovanni, Se i chinacei si debbano avere siccome preventivi del coléra e che sia ormai da pensare di una tale proposta?. 1838. (CAB 1838: 8)
-Maraglio, Agostino, Osservazioni sul coléra di Lonato nel 1849, 1848-50 (CAB 1848-50: 43/Ms)
-Belpietro, Agostino, Osservazioni sulla teoria del prof. Giacomini, sul coléra asiatico. 1848-50
(CAB 1848-50:51/Ms)
-Benedini, Felice, Cenni medico storicisul coléra di Brescia nell’anno 1855. 1852-57 (CAB 1852-57:35)
-Gorno, Paolo, e Fornasini, Luigi, Alcune osservazioni sul coléra indiano, che ha imperversato in Brescia e sua provincia nella state del 1855. 1852-57.
-Pelizzari, Giovanni, Proposta di una piccola ma salutevole istituzione, che in ogni città, dal Coléra invsa, meriterebbedi essere aggiunta agli altri provvedimenti igienici.1865-67 (CAB 1865-67:272)
-Fornasini, Luigi, Del coléra e dei suoi rimedi. 1865-67(CAB 1865-67:89/Ms)
-Pelizzari, Giovanni, Il chinino, riconosciuto finalmente nella stessa protopatria asiatica della peste colerica qual vero profilattico di essa peste. 1870-73 (CAB 1870-73:324/Ms)
-Rodolfi, Rodolfo, Lettere sul choléra. 1870-73 (CAB 1870-73: 430)
-Balardini , Lodovico, Studi sulla profilassi e cura del coléra- Relazione della speciale Giunta eletta dall’Ateneo il 27 luglio 1873. 1874 (CAB 1874:27)
-Pelizzari, Giovanni, Quesiti sui migliori colérifughi. 1874 (CAB 1874:69e 79)
-Fornasini, Luigi, Sul coléra. Considerazioni e congetture. 1874 (CAB 1874: 172 e 178/Ms)
-Bonizzardi, Tullio, Intorno allo scritto del sig. cav. Dr. L. Fornasini “ Sul coléra. Considerazioni e congetture”. 1874 (CAB 1874: 209 e 226)
-Fornasini, Luigi, Breve risposta al dr. Tullio Bonizzardi sulle disinfezioni per coléra. 1874 (CAB 1874:329)
-Pelizzari, Giovanni, Dai climi boreali sino agli equatoriali, quale la intera progressione geografica di febbri e di pesti paludigene? E donde la tanta ritrosia dei neoterici a esperire in grande contro le tre feralissime pesti bubbonica, itteroide e colérica, già ormai dimostrate oriunde da palude, quelle medesime profilassie, spaluditiva, cinchonica ed eucaliptica, che contro ogni forma di paludigine febbri cotanto valgono? 1878 (CAB 1878: 208/Ms)
-Cadei, Giuseppe, Sull’uso della naftalina contro il coléra. 1884. (CAB 1884:250)

 

 

25/6/2010

25/6/2010



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