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dal passato al presente
La mutilazione genitale femminile comprende tutte le procedure che includono la rimozione parziale o totale dei genitali femminili esterni o altre lesioni agli organi genitali femminili.
a cura di: Dott. Antonio Semprini (pediatra)
“La mutilazione genitale femminile comprende tutte le procedure che includono la rimozione parziale o totale dei genitali femminili esterni o altre lesioni agli organi genitali femminili per ragioni culturali o altre ragioni non terapeutiche”.
Generalmente la MGF viene praticata da persone profane con limitate conoscenze di anatomia e di tecnica chirurgica, come le vecchie del villaggio chiamate “gedda” in Somalia o “daya” in Sudan, ma anche dalla nonna della bambina (arusa) o dalla madre stessa. Nei casi più fortunati (!) l’operazione viene eseguita da un medico in una clinica privata. Raramente vengono usati anestetici.
Secondo i luoghi, il livello di acculturamento della famiglia e le sue possibilità economiche gli strumenti usati per questa insana pratica possono essere il bisturi come anche un rasoio, un coltello, una scheggia di vetro, una pietra appuntita, una scheggia di legno o di carbone ardenti.
I margini piagati della vulva sono tenuti accostati con gomma arabica, zucchero, chiara d’uovo o, addirittura con spine d’acacia. Per prevenire l’emorragia vengono usate poltiglie di erbe, caffè, fango, cenere, bianco d’uovo, sterco, ma anche catgut nei casi migliori.
Nella circoncisione faraonica una minima apertura vaginale, per la fuoruscita di urina e sangue mestruale, viene garantita dall’inserimento di un cilindretto di legno lisciato.
Le complicane comuni a tutti i tipi di MGF, ma maggiormente nel caso di infibulazione, sono le seguenti: emorragia, prolungato sanguinamento causa di choc e morte, infezione locale e sistemica, formazione di ascessi e di ulcere, setticemia, anemia, tetano, gangrena, cistite, infezione cronica della regione pelvica, dismenorrea, infertilità. Le complicanze più tardive consistono in: stenosi vaginale, ematocolpo, fistola retro-vaginale, infezioni ricorrenti delle vie urinarie, disuria, incontinenza urinaria, trasmissione dell’HIV, dispareunia, difficoltà nell’espletamento del parto.
In alcune tribù africane le ragazze sono relegate per alcune settimane prima o dopo l’operazione con lo scopo di impartire loro elementi di igiene personale e responsabilità femminile verso la prole, oltre che sul loro tradizionale ruolo di membri della tribù. Al loro ritorno esse sono considerate “pure” e adatte al matrimonio. Le cicatrici genitali sono la prova per il futuro marito che la ragazza ha seguito un corso di responsabilità morale e pratica. Le donne africane pensano che le loro cicatrici genitali, come i tatuaggi, le distinguano etnicamente da altri gruppi e conferiscano loro uno “status” elevato, mentre quelle che si sottraggono alla MGF sono considerate “impure” e di cattiva famiglia. Non sono, comunque, infrequenti i casi di riottosità o di tentativi di fuga da parte di queste adolescenti e costante è il loro stato di choc psico-fisico dopo l’intervento.
Mentre nella maggior parte dei casi la MGF ha lo scopo evidente di impedire il soddisfacimento sessuale femminile, presso le popolazioni dei Bambara e dei Dogon del Mali (25% di bambine sottoposte alla MGF) il fenomeno avrebbe motivazioni diverse. Per queste popolazioni clitoride e prepuzio costituirebbero residui della primigenia (mitologica) androginia dell’essere umano e le operazioni rituali di cui stiamo parlando avrebbero il compito di eliminarli producendo così “veri uomini“ e “vere donne”, esseri diametralmente opposti.
La MGF è praticata, secondo i luoghi e le culture su bambine dell’età compresa tra gli 8 e i 14 anni.
Il fenomeno è presente in 28 paesi Africani, con punte del 98% in paesi come la Somalia e il Sudan, il 90% di Sierra Leone, Gibuti e Etiopia e i valori minimi del 5% in Uganda e Zaire. Fuori dal Continente africano il fenomeno è presente in Oman, Sud Yemen, Emirati Arabi Uniti e nelle popolazioni musulmane di Indonesia, Malaysia, Bora, India, Giava, Sumatra, Belucistan. Nel passato diversi gruppi etnici praticarono l’escissione e l’introcisione in regioni del mondo non ancora toccate dalla cultura islamica, come l’Australia, il Messico Orientale, il Perù, il Brasile occidentale, a comprova del fatto che il fenomeno trae le sue origini in costumi molto antichi che investono il problema dei rapporti uomo donna ancor prima che ne derivasse una tradizione dai connotati religiosi come nell’Islam, per quanto nazioni come l’Arabia Saudita, culla dell’Islam, l’Iran, la Turchia, non siano vittime di questa barbarica usanza. Un caso esemplare e che induce a bene sperare è quello dell’Egitto, dove il 97% delle donne sposate è circoncisa e oltre la metà della popolazione femminile pare sia favorevole a questa usanza. Tuttavia, dopo l’episodio, avvenuto non molti anni fa, riguardante una bambina di 12 anni morta per dissanguamento dopo aver ricevuto, come premio per la sua promozione al termine dell’anno scolastico, l’intervento di MGF, in Egitto le cose sono cambiate, almeno sotto l’aspetto legislativo. Spronato dal rumore suscitato dai media il governo egiziano, in accordo col gran Muftì e il Pope copto, massime autorità religiose del Paese, ha deciso di imporre un bando totale alle MGF.
Una opinione diffusa nella società occidentale moderna è che quella che genericamente viene chiamata “infibulazione” sia una pratica presente soltanto nelle società di cultura islamica.
Niente di più inesatto, perché questa crudele operazione veniva praticata fin dagli albori della civiltà, molti secoli prima della comparsa sulla scena della Storia della religione islamica.
Infatti il grande storico greco Erodoto (V sec. a.C) racconta che la MGF era praticata molto prima della sua epoca da Fenici, Ittiti, Egizi, Etiopi.
Strabone (I sec.a.C.), Sorano d’Efeso (II sec. d.C.), Ezio di Amida (V/VI sec. d.C.), raccontano che anche in Atene e in Roma veniva praticata la “infibulazione” chiudendo l’apertura vaginale con una spilla (fibula) alle mogli dei soldati che partivano per le campagne militari dell’Impero allo scopo di impedirne l’adulterio durante la loro assenza. Al medesimo trattamento venivano sottoposte le schiave per evitare che restassero incinte rendendo meno sul lavoro.
Una pratica diversa ma non meno umiliante e barbara verrà riservata nel periodo delle Crociate alle spose dei crociati in partenza per la Terrasanta con la cintura di castità.
L’Islam si diffuse a partire dal VII secolo dalla Penisola Arabica ai territori circostanti conquistando in pochi secoli vastissime regioni dalle colonne d’Ercole all’estremo Oriente, portando con sé questa usanza tribale preesistente e imponendola ai popoli sottomessi. La cosa sorprendente è che nell’attuale Arabia Saudita, nella repubblica Islamica dell’Iran, in alcune regioni di cultura musulmana della ex Unione Sovietica e della Cina questa usanza è assente, mentre nelle regioni del Corno d’Africa e nel Sudan si hanno percentuali del 90-100% di casi sulla popolazione femminile. Nello stesso Corno d’Africa e in Africa centrale la MGF è condivisa da donne musulmane, cristiane e animiste a dimostrazione del fatto che questa pratica non trova la sua motivazione in dogmi di natura religiosa ma in antichissime consuetudini che ebbero origine proprio nel Corno d’Africa e si diffusero lungo il corso del Nilo a Nord e a Est. Significativo a questo proposito, come già detto prima, è sapere che “l’introcisione”, forma estrema di MGF, era o è ancora praticata presso popolazioni indigene di Australia, Sud Africa e Sud America.
La pratica della MGF è interpretata in modo diverso da quattro scuole islamiche:
Nel Corano non esiste uno specifico riferimento alla circoncisione femminile, ma questa è sempre stata considerata comunque una regola religiosa ereditata dalla tradizione. Nelle, popolazioni meno sviluppate esiste la convinzione che questa sia una pratica universale e non si concepisce che una donna “per bene” non sia circoncisa (uso questo termine come sinonimo di MGF).
Si cadrebbe in errore se si pensasse che la MGF non sia mai stata praticata nell’evoluto Occidente nell’era moderna.
Infatti un primo caso riportato in Europa dalla letteratura medica risale al 1825, quando la prestigiosa rivista medica LANCET segnalò che nel 1822 il chirurgo tedesco Graefe aveva curato con la clitoridectomia un caso di eccessiva masturbazione e ninfomania. In pieno XIX secolo, dopo la segnalazione di questa episodio, si ebbe un’ondata di escissioni clitoridee in Germania, Francia, Inghilterra nella convinzione che alcune deviazioni sessuali come la ninfomania e l’eccessiva masturbazione con le conseguenti isteria, epilessia, catalessi, malinconia fino alla pazzia, potessero venire curate in quel modo.
Quel fenomeno suscitò aspre polemiche presso le Società medico-scientifiche europee, finchè nel 1867 in Inghilterra si giunse alla radicale decisione di sospendere dalla Società Ostetrica di Londra il dott. Isaac Baker Brown, fautore di questa incredibile terapia. Il fatto portò alla rapida scomparsa di questa pratica in Europa, ma continuò ad esistere negli Usa dove l’ultimo caso segnalato in letteratura medica risale al 1927.
La lotta contro la consuetudine umiliante e cruenta delle MGF, oltre che con leggi promulgate da organismi internazionali che hanno o dovrebbero avere autorità sovranazionale, va condotta comunque dall’interno di quelle culture che ancora la praticano da parte di donne coraggiose che abbiano la capacità di liberarsi dai lacci delle loro stesse tradizioni cultural-religiose.
Sono in grado di citare i nomi di tre di queste donne che hanno saputo riscattarsi dalle loro ancestrali società e farsi paladine di questo riscatto.
Molto bene si è espressa Nahid Toubia scrivendo sulle pagine "dell’International Journal Gynecology & Obstetrics, 46, pp.127-135, 1994” a proposito dell’approccio etico e deontologico del medico di fronte al problema delle MGF. “La non necessaria asportazione di un organo funzionante del corpo, scrive Nahid Toubia, nel nome della tradizione, costume o qualsiasi altro motivo di natura non patologica non può mai essere ritenuto accettabile nell’esercizio della professione sanitaria. Tutte le circoncisioni fatte all’infanzia sono violazioni dei diritti umani e costituiscono una violazione del fondamentale codice dell’etica medica.(…). Il consenso parentale per una procedura che danneggia piuttosto che preservare la salute infantile è eticamente e legalmente inaccettabile".
Queste espressioni fanno sicuramente tesoro della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo del 1948. A questa fece seguito nel 1978 la Dichiarazione di Alma Ata sull’assistenza sanitaria primaria (Alma Ata, URSS, 6-12 settembre 1978).
In questa Dichiarazione, espressa in 10 punti, sono ravvisabili tutti i concetti etici e legali utili alla promozione di un’azione internazionale volta a contrastare le MGF. Da allora in numerose altre sedi internazionali si fecero dichiarazioni in tal senso (ONU, 1992 e 1993; Pechino,1995; Consiglio d’Europa,199 e 2001.
Già il R.D. del 16 marzo del 1942, n° 62, art. 5 recitava: ”Gli atti di disposizione del proprio corpo sono vietati quando cagionino una diminuzione permanente della integrità fisica o quando siano altrimenti contrari alla legge, all’ordine pubblico o al buon costume”. Fece seguito l’Art. 32 della Costituzione della Repubblica Italiana (G.U. dicembre 1947) che recitava: ”Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun modo violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”. La legge 9 gennaio 2006 n° 7 (G.U. n°14 del 18 gennaio 2006) sulle Disposizioni concernenti la prevenzione e il divieto delle pratiche di mutilazione genitale femminile all’Art 1 sulle Finalità recita: ”In attuazione degli art. 2,3,32 della Costituzione e di quanto sancito dalla Dichiarazione e dal Programma di azione adottato a Pechino il 15 settembre 1995 nella Quarta Conferenza Mondiale delle Nazioni Unite sulle donne, la presente legge detta le misure necessarie per prevenire, contrastare, e reprimere le pratiche di mutilazione genitale femminile quali violazioni dei diritti fondamentali all’integrità della persona e alla salute delle donne e delle bambine". Seguono altri 8 articoli della legge. All’Art. 6 è prevista la pena da 4 a 8 anni di reclusione e l’interdizione all’esercizio della professione medica dai 3 ai 10 anni ai medici che praticassero la MGF.
Il tratto comune di questi impegni internazionali è la presa di coscienza del valore dell’individuo e dei suoi diritti, da tutelare a prescindere da qualsiasi diversità di razza, sesso, età. Ma il trasferimento di questi principi nel contesto sociale delle diverse nazioni del mondo è ancora soltanto un auspicio.
24/9/2010
24/9/2010
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