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dal passato al presente

Storia dell'abbandono e dell'infanticidio - parte 3

La storia dell'abbandono e dell'infanticidio dalla nascita delle prima "ruota" nel XII secolo, fino ai giorni nostri.

a cura di: Dott. Antonio Semprini (pediatra)

Il XII secolo della nostra era si apre con l’introduzione del meccanismo della “ruota”, inventato per evitare che i piccoli “reietti” fossero abbandonati all’aperto alla mercè degli eventi atmosferici e degli animali. Anche una sola notte trascorsa sul sagrato di una chiesa o davanti al portone di un convento, a seconda anche delle condizioni atmosferiche del momento poteva essere fatale al bambino. La prima ruota cominciò a funzionare nell’ospedale di Marsiglia nel 1118, seguita poco dopo da quella di Aix en Provence e di Tolone. Le ruote si diffusero rapidamente in Francia, Italia, Spagna e Grecia, ma non nei paesi germanici e anglosassoni cadaverini di feti o di neonati uccisi nei modi più diversi continuavano ad essere trovati nelle fogne e nelle discariche di questi ultimi paesi. La ruota era un congegno rappresentato da un tamburo di legno rotante su un’asse verticale dalle piccole dimensioni perché destinato ad accogliere bambini appena nati e munito di un apposito sportello aperto in corrispondenza di una fessura posta sulla cinta esterna dell’ospizio. Qui il bambino poteva essere abbandonato nell’anonimato, ma capitava abbastanza spesso che egli fosse dotato di un segno di riconoscimento (una mezza carta da gioco, un ciondolo o un qualsiasi altro mezzo di riconoscimento). Ciò denotava la volontà del genitore di poter rientrare in possesso del figlio in un futuro migliore o, almeno, di poterlo riconoscere da quel segno. In genere il tintinnio di un campanello esterno avvisava dell’arrivo del piccolo una guardiana di turno, detta anche la “rotara”, che prestava i primi soccorsi.
Successivamente i bambini venivano accolti dalla priora che li marchiava con una doppia croce sul piede sinistro. I piccoli venivano registrati (così almeno nell’Ospedale di S.Spirito di Roma) come filiu m. ignotae, dove la m. sta per matris.(1)

L’Ospedale di S. Spirito in Roma

Sulle sponde del Tevere nel 715 era stato fondato da Ina, re della Sassia, in quelli che erano stati gli orti neroniani, una Schola Saxonum, che era un centro di accoglienza di pellegrini che giungevano a Roma in visita al Principe degli Apostoli S. Pietro e dotata di una chiesa intitolata a S. Maria in Sassia. Devastata da incendi e saccheggi la struttura fu ricostruita da papa Innocenzo III nel 1198 per dedicarla all’assistenza degli infermi, al mantenimento dei poveri e dei “proietti”, secondo le intenzioni dell’Ordine di S. Spirito fondato da Guy de Montpellier. Il papa era stato scandalizzato dalle notizie che gli giungevano relative ai ritrovamenti di corpicini di neonati che restavano impigliati nelle reti dei pescatori del Tevere, buttati dai ponti o dalle rive del fiume da madri sventurate; questo era stato il motivo fondamentale che l’aveva indotto a fondare l’Ospedale di S.Spirito, oltre che un doveroso riguardo allo spirito di carità cristiana che era dovuto a poveri e malati. Dai tempi della Basiliade di S. Basilio erano passati circa otto secoli. Da quel momento l’Ordine ospedaliero di S. Spirito si diffuse da Roma in Italia e in Europa con circa 500 filiali divenendo il fulcro del progresso ospedaliero di quel periodo. Nell’Ospedale di S. Spirito oltre al nosocomio generale, al gerontocomio e al lebbrosario esistevano un asilo materno e un baliatico, oltre che un reparto brefotrofio per accogliere bambini figli di donne indigenti o di meretrici, bambini che a volte venivano partoriti nell’ospedale stesso, altre volte partoriti fuori dall’ospedale e abbandonati nella “ruota”. Se le norme per l’accettazione e l’allevamento degli esposti erano uguali in tutti i brefotrofi, le condizioni ambientali erano però diverse a seconda della disponibilità finanziaria dei diversi istituti. In questo senso l’Ospedale di S. Spirito era quello più dotato perché favorito dalla protezione del papa. Il brefotrofio romano di S. Spirito non si limitava ad accogliere solo i bambini esposti di Roma e del territorio laziale, ma anche tutti quelli dello Stato Pontificio. Tuttavia pochi dei bambini che venivano portati da lontano da uomini prezzolati riuscivano a superare lo stress del trasporto. Contenuti in ceste di vimini, portati a spalla, restavano esposti alle intemperie ed erano alimentati solo occasionalmente e in modo assolutamente incongruo, in condizioni igieniche spaventose, spesso eliminati per strada o gettati nei fossi come oggetti fastidiosi e ingombranti; quei poche che sopravvivevano fino al brefotrofio spesso morivano poco dopo perché giunti in condizioni estreme.
Erano sorti brefotrofi all’interno dello Stato Pontificio anche a Spoleto, Viterbo, Orvieto, Assisi, Foligno, Perugia. Ma i brefotrofi di provincia, inariditasi la pubblica beneficienza per il moltiplicarsi delle confraternite religiose, dei sodalizi, e dei piccoli monasteri, si erano visti costretti a riversare i loro trovatelli nel brefotrofio di S. Spirito che giunse, per l’eccessivo affollamento, alla bancarotta, oltre che all’enorme incremento della mortalità dei bambini stessi. Pose rimedio a questa situazione papa Clemente XII (1652-1740) che fece istituire in ogni provincia un brefotrofio fornito delle necessarie dotazioni, facendo chiudere contestualmente tutti quei piccoli monasteri, sodalizi, opere pie di dubbia utilità che erano sorti come funghi negli ultimi tempi, sottraendo ai brefotrofi quella beneficienza privata che era stata l’ossigeno dell’assistenza all’infanzia abbandonata.
All’interno dei brefotrofi la mortalità dei bambini restava elevatissima ed era dovuta alle carenze igieniche spaventose, agli ambienti malsani e male aerati, alla malnutrizione se non alla denutrizione, dovendo spesso una balia provvedere a 5-6 bambini, all’infierire della sifilide, del rachitismo, del mughetto, delle malattie esantematiche, delle malattie respiratorie e di tante altre patologie definite “sconosciute”. A volte questi bambini venivano dati “in appalto” a nutrici esterne di campagna, quindi abbandonati a situazioni che sfuggivano ad ogni controllo, anche se si è accertato che la mortalità infantile era inferiore nelle campagne rispetto alle città e ancor di più rispetto ai brefotrofi.
Nel resto della Penisola altre istituzioni simili venivano fondate a Venezia, a Siena, a Firenze, a Milano, ma anche a Bergamo, a Ferrara, a Napoli e, in territorio d’oltralpe, a Norimberga, a Lione, ad Amsterdam.
Un particolare cenno meritano gli istituti di Firenze e di Milano.

L’Ospedale degli Innocenti di Firenze

A Firenze già alla fine del XII secolo esisteva un brefotrofio detto di S. Maria a S. Gallo dove venivano accolti i ”gettatell”.(2) Questo brefotrofio veniva messo alle dipendenze dell’Arte della Seta. Successivamente, agli inizi del XIV secolo, veniva fondato un altro brefotrofio, anch’esso alle dipendenze dell’arte della seta, vicino al convento domenicano di S.Maria Novella, detto di S.Maria della Scala.
Con l’accrescersi delle fortune della Repubblica Fiorentina e, conseguentemente, della sua popolazione, crebbe anche il numero dei bambini abbandonati, perciò i due piccoli ricoveri per “gettatelli” diventarono insufficienti. Ciò indusse l’Università dell’Arte della Seta di Por S. Maria a costruire un nuovo grande ospedale che fu detto “degli Innocenti”. Questo ospedale non fu solo l’espressione dello spirito caritatevole di una società tra le più evolute del suo tempo, ma anche l’espressione del suo gusto artistico. Infatti l’Ospedale degli Innocenti fu commissionato all’Architetto Filippo Brunelleschi e decorato con medaglioni raffiguranti putti in fasce dei Della Robbia. Questo famoso ospedale, ancor oggi funzionante come brefotrofio, anche se in misura molto ridotta rispetto al passato, fu dichiarato “luogo ecclesiastico” nel 1439 da papa Eugenio IV in occasione del Concilio di Firenze indetto per l’Unione delle Chiede d’Oriente e d’Occidente e sappiamo che nel 1445 ebbe come sua prima ospite una bambina.
Fu qui che nel 1577 si fecero i primi esperimenti di allattamento artificiale con latte di mucca intero, ma con risultati disastrosi. Sempre qui, nella seconda metà del XVIII secolo, si iniziarono le prime variolizzazioni per la profilasse del vaiolo, pratica che sarà sostituita nel 1801 dalla vaccinazione jenneriana.

L’Ospedale del Brolo di Milano

Già nel XII secolo a Milano esisteva l’Ospedale del Brolo dove venivano ricoverati e allevati gli esposti, ma è dal poeta Bonvesin della Riva che, nella sua bella descrizione di Milano, veniamo a sapere che nel XIII secolo l’Ospedale del Brolo accoglieva 350 esposti, allattati un pò all’interno un pò all’esterno dell’ospedale da balie prezzolate di città o di campagna. Successivamente per evitare il sovraffollamento, si trattennero all’ospedale del Brolo solo i neonati e i lattanti (figli di latte), mentre i divezzi (figli del pane) furono avviati all’Ospedale di S. Celso.
Col dilagare della sifilide, dopo la scoperta del Nuovo Mondo, l’Ospedale del Brolo fu riservato agli “infranciosati”,(3) mentre tutti gli altri furono trasferiti all’Ospedale di S. Celso. Verso la fine del XVII secolo l’Ospedale di S.Celso, vittima dell’incuria e fatiscente, fu abbandonato e tutti i bambini esposti furono trasferiti all’Ospedale Maggiore che era in condizioni ambientali molto migliori. L’insegna dell’Ospedale Maggiore aveva allora come simbolo una colomba, da cui il nome di “colombini”, dato genericamente a quei trovatelli e il cognome di Colombo assegnato loro allo stato civile. Circa un secolo dopo il reparto maternità e quello degli esposti furono trasferiti in S. Caterina alla Ruota, ex convento. Nel 1867, in applicazione di un progetto di legge del governo Ricasoli, la Deputazione Provinciale di Milano fece chiudere la “ruota”, provvedendo all’assistenza nel brefotrofio degli illegittimi e dei legittimi abbandonati. Inoltre, per indurre le famiglie povere a non abbandonare la prole numerosa, provvide a soccorrere queste famiglie nell’allattamento dei figli ponendole a  carico della beneficienza dei corpi morali e delle associazioni private.

S. Vincenzo de’ Paoli

Nel XVII secolo a Parigi si prodigò Vincenzo de’ Paoli, che meritò per questo la santità. Egli dedicò tutta la sua vita  all’accoglienza dei bambini abbandonati e degli orfani vaganti nelle vie della città, dove esisteva, in via Landry, una infermeria ostetrica che vendeva a venti soldi l’uno i bambini nati in quel luogo a gente del circo e saltimbanchi. Questi bambini venivano in vario modo deformati o mutilati per farne oggetto di spettacolo sulle pubbliche piazze alla morbosa curiosità popolare proprio come facevano i “nutricatores“ dell’antica Roma. In Francia il numero degli esposti fu sempre elevatissimo e la condizione dei brefotrofi spaventosa per le pessime condizioni sanitarie di quei luoghi. Si calcola che a metà 800 il loro numero fosse di 25.000 l’anno, con un totale, nel 1833 di 132.000 esposti e una mortalità del 75%.
La Casa degli esposti di Parigi, fondata dal re Luigi XIII nel 1640, fu definita dal Girtanner: “Il più orrendo macello di carne umana che siasi veduto giammai”. A Dublino nel XVII secolo, la mortalità infantile era del 98%.
In Germania, dove peraltro il fenomeno dell’abbandono era meno diffuso, come in tutti i paesi di prevalente cultura protestante, all’ingresso di un ospizio qualcuno aveva scritto: ”Qui si fanno morire i bambini a spese pubbliche”.
Nei paesi a cultura protestante l’opinione pubblica non diffamava le ragazze madri, gli infanticidi erano rari e il bisogno di ospizi era poco sentito. Non esisteva la “ruota”. Lo Stato metteva a carico delle ragazze madri il loro bambino e le riteneva responsabili della sua cura.
A Berlino, se veniva trovato l’autore dell’abbandono, questi veniva condannato all’ergastolo e i suoi beni andavano al trovatello e agli altri suoi figli se ne aveva. A Berna l’esposizione di neonati veniva punita con i lavori forzati.

La rivoluzione francese

La Rivoluzione francese, nella sua Dichiarazione dei diritti dell’Uomo e del Cittadino, proclamava “l’uguaglianza di tutti i bambini che nascono”, sopprimendo tutti gli istituti caritatevoli, laici o religiosi che fossero, mettendoli a carico dello Stato e definendo i trovatelli “figli della patria”. Tali iniziative furono estese anche alla maternità illegittima e a quella delle donne indigenti. Tuttavia, se quanto era stato scritto creava una nuova concezione dell’assistenza sociale spostandola dall’attività caritatevole alla competenza statale, nella realtà la situazione non mutò di molto, creando le condizioni per un ritorno alla beneficienza privata. Un rinnovato impegno ebbe Napoleone, per il quale però i “figli della patria” era no buoni per le sue grandi armate. La Restaurazione portò ad una politica liberistica e decentratrice e nel 1817 il governo francese cancellò dai bilanci dello Stato le spese per l’assistenza sociale addossandola alle amministrazioni locali. Quei bambini “figli della patria” non andarono più a rinfoltire le schiere degli eserciti napoleonici, ma furono impiegati nel grigiore delle fabbriche della nascente civiltà industriale. Aveva inizio lo sfruttamento del lavoro minorile. Tale fenomeno, presente in forme non meno massicce anche in Inghilterra e Germania, si accompagnò anche allo sfruttamento del lavoro femminile. Questi due avvenimenti, concomitanti all’inurbamento delle famiglie contadine, portarono in quelle nazioni, che per prime si erano avviate sulla strada dello sviluppo industriale, ad un ulteriore incremento della morbilità e della mortalità infantile.

I Brefotrofi bresciani

A Brescia nel 1447 furono trasferiti  tutti gli infermi e tutti gli esposti dal Convento di S. Spirito e da diverse case di salute della città e del territorio all’ospedale di S. Luca. Fino al 1526 all’esterno di quell’ospedale era collocata una culla dove venivano adagiati i bambini trovati abbandonati nelle pubbliche vie e nelle chiese, non essendo  entrata in uso la ruota a Brescia fino agli inizi del XVII secolo. Nel 1800 questo istituto venne unito a quello di Maternità,(4) allo scopo di avere un maggior numero di nutrici. La beneficienza privata fece molto per questo Istituto che accoglieva i bambini illegittimi abbandonati, gli orfani poveri, i legittimi portati lì personalmente da genitori indigenti perché fossero sfamati dalla pubblica beneficienza. Ma molti di quei bambini legittimi venivano portati anche alla “ruota” da genitori che volevano conservare l’anonimato. Sconcertante è il fatto che sia il Municipio che la Chiesa locale consigliassero alle famiglie povere di sbarazzarsi dei troppi figli affidandoli alla beneficienza pubblica attraverso la “ruota”. Evidentemente lo scopo era quello di accettare il male minore o presunto tale, perché, comunque, il destino di quei bambini abbandonati era quasi sempre segnato a causa della elevata mortalità che si aveva in quei luoghi di accoglienza.
Nel decennio 1859-1868 i bambini esposti furono 835, di cui il 50% legittimi, il cui dato costituisce un buon metro di misura per valutare  la condizione socio-economica della popolazione. L’esposizione dei legittimi, infatti, seguiva generalmente l’oscillazione del prezzo del pane. Nel corso del XIX secolo l’esposizione dei bambini illegittimi non crebbe rispetto al passato, mentre crebbe considerevolmente quella dei figli legittimi, raggiungendo punte del 60%, come a Milano. (E’ terribile sapere che nella “ruota” di Brescia furono deposti, dal 1829 al 1868, 1000 cadaverini di neonati e 2184 neonati immaturi.)
Tutti questi bambini, una volta portati personalmente o deposti nella “ruota”, venivano accolti e registrati. Essi venivano mantenuti nell’Istituto fino all’età di sette anni, indi avviati all’apprendimento di un mestiere i maschi, mentre le femmine venivano trattenute nell’istituto a svolgervi lavori domestici, oppure venivano collocate presso famiglie con le stesse funzioni di domestiche. Alcune trovavano marito. Le spese di mantenimento, secondo il Decreto di Vienna del 11 febbraio 1819 erano a carico dello Stato, cui si aggiungeva la beneficienza privata.
A Salò c’era una succursale dell’ospizio di Brescia dove nel decennio 1859-1868 il numero degli esposti, anche legittimi, era arrivato a 354. A Malegno, in Valle Camonica, già dal 1549 esisteva un Ospizio per gli esposti fondato forse dai frati Umiliati. Questo ospizio ricevette nel decennio 1859-1867, 586 esposti.
Il Regno d’Italia contava al 31 dicembre 1867, 25.404.723 abitanti, con 875.584 nascite. Di queste 51.812 erano illegittime con 35.023 esposti. Su tutti i nati vivine morì nel primo anno di vita il 29,32%. La mortalità più elevata dei bambini esposti veniva raggiunta in quel periodo dalla città di Cremona con il 68,96% di decessi. Tra questi due estremi si trova una grande varietà di percentuali la cui entità varia in rapporto a diversi fattori, tra cui principalmente il sovraffollamento e il periodo di permanenza nel brefotrofio. Infatti, nei brefotrofi dove i bambini restavano per un periodo relativamente breve per essere mandati da nutrici di campagna, la mortalità calava considerevolmente. Nella Pia casa di Brescia, dove la mortalità era stata nel decennio 1859-1868 del 44,50%, per i bambini allattati in campagna la mortalità era stata del 13,38%.

La Ruota

Favorevoli e contrari

Venne un momento in cui ci si pose la domanda se veramente il meccanismo della “ruota” fosse utile ai fini della riduzione del fenomeno dell’abbandono e, soprattutto, ai fini della sopravvivenza dei bambini abbandonati. Sul finire del XVIII secolo, dopo secoli di esperienza, si ebbe il coraggio di abbandonare il deplorevole fatalismo che vedeva nella mortalità infantile una sorta di selezione naturale cui non ci si poteva opporre che con armi spuntate e questa opinione  era espressa anche dal grande pediatra dell’epoca Rosen de Rosenstein.
Ma già nel 1763 Cesare Beccaria, nella sua grande e rivoluzionaria opera pubblicata in clandestinità: “Dei delitti e delle pene” bollava con queste parole l’ipocrisia che circondava il fenomeno della “ruota” e quello dei brefotrofi:”(…) la miglior maniera di prevenire questo delitto (l’infanticidio. N.d.R.) sarebbe proteggere con leggi efficaci la debolezza contro la tirannia, la quale esagera i vizi che non possono coprirsi col manto della virtù (…).
In Inghilterra il medico Armstrong, confutando il fatalismo  darwiniano ante litteram di Rosen de Rosenstein, apriva il primo ambulatorio pediatrico della storia della pediatria: questo durò quanto il suo fondatore, ma fu il primo segnale di qualcosa che stava per cambiare.

Intanto si accendeva  e si faceva sempre più rovente la polemica sull’efficacia della “ruota” e delle istituzione come i brefotrofi e gli orfanotrofi. Si era visto che il fenomeno dell’abbandono, col comparire della “ruota” e le istituzioni che l’accompagnavano aveva fatto aumentare invece che diminuire il fenomeno dell’abbandono, perché quegli ospizi davano una maggiore sicurezza di sopravvivenza degli esposti, secondo il convincimento generale. In realtà uno dei principali aspetti della fondazione dei brefotrofi fu, nel volgere dei secoli, sopratutto quello di togliere dalle strade e dalla vista del cittadino comune il problema dei bambini indesiderati, ma la conseguenza terribile fu che nessuno per secoli si accorse di quanto accadeva dietro a quelle mura. Lo stesso grande Jean Jacques Rousseau aveva portato cinque suoi figli all’ospizio di Parigi e, quando tornò dopo qualche anno, forse per riprenderseli, seppe che erano tutti morti; ma l’aver scritto l’opera l’Emile, lo fa annoverare tra i più grandi pedagogisti.
Voglio riportare in sintesi gli argomenti portati da quelli che erano favorevoli alla ruota e da quelli che erano contrari.

I favorevoli alla ruota sostenevano che:

  • Ravviva il pudore;
  • Previene la vergogna;
  • Facilita il ravvedimento;
  • Il suo abuso è minor male rispetto allo scandalo di una pubblica ammissione.

I contrari alla ruota sostenevano che:

  • Le fanciulle madri danno un esempio più salutare che pericoloso;
  • Mantenere un figlio congiunto alla madre è il vero mezzo per giungere al pentimento;
  • La ruota eccita a dissimulare la gravidanza fino all’infanticidio;
  • La segretezza del parto è il, preludio dell’infanticidio e dell’aborto;
  • La ruota causa una spaventosa mortalità tra i bambini esposto;
  • Gli esposti sopravissuti all’esposizione e ricoverati negli ospizi sono soggetti comunque ad una elevata mortalità.

Il primo ad essere sensibile a queste istanze fu l’imperatore d’Austria Giuseppe II che soppresse la “ruota“ in tutto l’Impero compreso, transitoriamente, il Lombardo-Veneto, nel 1784. Nel Regno d’Italia la prima “ruota” ad essere soppressa fu quella di Milano, quella di Brescia fu soppressa nel 1871, mentre l’ultima fu quella di Ancona nel 1922.

Conclusioni

Nella società moderna, maggiormente progredita rispetto a un secolo fa, le forti correnti migratorie hanno creato rinnovati problemi sociali di emarginazione e di povertà oltre che di sfruttamento della prostituzione femminile, con conseguente aumento delle nascite non desiderate. Frequente è il ritrovamento di neonati morti o ancora vivi nei cassonetti della spazzatura oppure nel piazzale antistante un supermercato o una discoteca.

Con grande senso realistico le autorità sanitarie hanno provveduto perciò a garantire un parto sicuro  in pieno anonimato a ragazze madri che non possono o non vogliono tenersi il bambino e anche la riapertura delle ruote in condizioni di assoluta garanzia assistenziale nei confronti del bambino abbandonato.

(1) Da cui il termine romanesco “figlio di mignotta”
(2) Passerini L.: Storia degli stabilimenti di beneficienza e di istruzione elementare gratuita della città di Firenze. Firenze, Le Monnier, 1853, p.681
(3) Così venivano chiamati i bambini affetti da infezione luetica.
(4) Nella Maternità di Brescia si accolsero, nel periodo 1837-1866, 2352 gravide illegittime che partorirono 2200 bambini. I 2/3 delle puerpere si fermarono come nutrici. Il compito di nutrice veniva svolto obbligatoriamente a titolo gratuito il primo mese, retribuito per altri quattro mesi. Era obbligatorio per una nutrice fermarsi per tutti i cinque mesi. Non si accettavano gravide al di sotto del settimo mese di gravidanza.

BIBLIOGRAFIA

  • Buffini: Ragionamento intorno alla Casa dei trovatelli in Brescia,Brescia,1841.
  • Buffini: Ragionamenti storici, economici, statistici e morali intorno all’Ospizio dei trovatelli in Milano
  • Leonesio: Rendiconto della beneficienza della Pia Casa degli esposti di S.Caterina alla Ruota nel decennio 1845-1854, Milano, 1856.
  • Guala, B. La Pia Casa degli esposti in Brescia (discorso del dott. B.Guala letto all’Ateneo il 21 marzo p.p.), Brescia, Sentinella Bresciana, Aprile 1969.
  • Latronico, N.: Storia della Pediatria, Edizioni Minerva Medica, Torino, 1977.
  • Onger, S.: L’infanzia negata, Grafo, Brescia, 1985
  • Ottati, D.: Istituto degli Innocenti, cinque secoli di storia. Becocci Editore, Firenze, s.d. (ma fine sec. XX).

Indice opera

Parte prima: dall'Antica Grecia fino al Cristinaesimo

Parte seconda: storia dell'abbandono e infanticidio nel Medioevo

Parte terza: dal XII secolo ai giorni nostri

15/9/2010

15/9/2010



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